Progetto Educativo - Pastorale
Il progetto per il nostro oratorio - parrocchia
Ci approcciamo a redigere questo breve documento con la profonda
consapevolezza che tutto ciò che facciamo è per amore di Gesù. A Lui
chiediamo umilmente di ispirare i nostri pensieri e le nostre azioni. A Lui
chiediamo di essere sempre coerenti testimoni del suo Vangelo e portatori di
pace.
Con le righe che seguono non vogliamo essere causa di contrasti o divisioni,
al contrario è nostro profondo desiderio portare unità negli ambienti in cui
viviamo, nelle nostre parrocchie e oratori, con la gerarchia ecclesiale e i
fratelli laici.
Alla sequela di Cristo, la nostra preoccupazione e il motore che spinge le
nostre azioni è il desiderio di farci santi. Siamo consapevoli dei nostri
limiti e del nostro essere peccatori, ma siamo anche consci che “dove
abbonda il peccato sovrabbonda la Grazia” (Rom 5, 20); sappiamo che
tutto è dono, che siamo “servi inutili” (Lc 5, 10) e vogliamo godere
appieno della felicità che deriva dalla Sua presenza accanto a noi.
Il primo passo verso la santità è abbracciare la nostra vocazione
particolare, sapendo che solo lì riusciremo ad essere veramente felici. Per
noi questo significa abbracciare il matrimonio con tutto il cuore e come
dono di Dio. Noi diventiamo santi amando nostra moglie/marito con l’amore
che ci ha insegnato Gesù: il dono della vita. È per questo che durante il
rito del matrimonio ci promettiamo amore e fedeltà per tutti i giorni
della nostra vita. In quel momento inizia il vero cammino di sposi, da
quel momento iniziamo ad abbandonarci nelle mani del coniuge. Il nostro
cammino di santità non è dunque solitario, non può esserlo! Non può
prescindere dall’essere una carne sola. i coniugi camminano
necessariamente assieme verso Gesù.
“Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è
come loro appartiene il regno di Dio” (Lc18, 16). Quando alla vocazione
del matrimonio si unisce il dono della genitorialità, gli sposi fanno loro
questo versetto del vangelo e si sentono interpellati a “lasciare che i
loro figli vadano verso Cristo”. Chi ha figli non può non sentire come
esigenza profonda, viscerale, il fatto che essi godano il dono della fede e
l’amicizia di Gesù. È quindi imprescindibile il condividere con i nostri
figli il cammino di santità e ci troviamo quotidianamente a chiederci come
fortificarli, come coltivare in loro più efficacemente il dono della fede.
Sappiamo che la famiglia è il primo e più importante luogo dove i nostri
figli imparano a conoscere Gesù. Il primo esempio viene da noi genitori, ed
esso è tanto più efficace quanto esperienziale dell’amore tra i coniugi. Il
dono reciproco della vita nel quotidiano, la gratuità dei nostri gesti in
famiglia, la preghiera insieme, sono un fondamentale veicolo per la crescita
cristiana.
Ma a volte non basta. La famiglia si trova a lottare da sola controcorrente.
Materialismo, edonismo e relativismo rappresentano ostacoli insormontabili.
Che fare? Come resistere? Come far sì che l’esperienza cristiana diventi
accattivante, più accattivante delle molte proposte alternative che
bombardano i nostri ragazzi? Perché abbiamo l’impressione che quanto stiamo
già facendo per la loro educazione cristiana non basti e sentiamo l’esigenza
di proporre un nuovo metodo di educazione e di evangelizzazione?
Nella omelia del giorno del Battesimo del Signore 2009, l’incaricato
dell’oratorio del Sacro Cuore ci ha detto che i ragazzi sembrano oggi
insensibili alle nostre proposte e che, per “credere”, hanno bisogno di
esperienze forti. In questa affermazione troviamo un condensato di verità
alla quale ci sentiamo di aggiungere che, un bisogno ulteriore che i ragazzi
hanno, e forse lo ha la società nel suo insieme, è quello di incontrare dei
testimoni.
Ma perché la proposta cristiana appare così poco accattivante?
Forse perché troppo spesso viene presentata come pesante ed onerosa, e non
come “giogo dolce e carico leggero” (Mt 11,30). O meglio, si presenta la
parte dolce e gioiosa della proposta cristiana come un corollario del duro e
faticoso impegno quotidiano. Pensiamo che forse non sia il metodo giusto:
molti di noi, nella propria storia di ragazzi e ragazze hanno vissuto tante
difficoltà, periodi adolescenziali tristi e silenziosi, né più e né meno di
quello che hanno vissuto altri, ma sempre i nostri educatori ci hanno fatto
vivere il fatto cristiano come un momento di gioia: a casa, in oratorio, in
parrocchia, ovvero nella quotidianità.
Crediamo che, forse con un volo pindarico, una delle ragioni, per le quali
oggi si ha difficoltà a presentare questa proposta nella sua interezza ed
inscindibilità, è dovuta al fatto che, nelle nostre parrocchie ed oratori,
la famiglia viene “fatta a fette” (questa affermazione ce la fece D.
Giovanni Nicolini, parroco della Dozza a Bologna, in un incontro ai primi
passi della nostra esperienza di gruppo): i bambini prima, ed i ragazzi poi,
fanno certe esperienze, e ci riferiamo in particolare alle esperienze
formative, al di fuori del contesto famigliare, contesto nel quale vivono il
resto della vita, dalla cena, allo studio, al diletto, almeno fino ad una
certa età.
Come si può ricuperare questa unità di vita che è fonte di conoscenza
gioiosa del fatto cristiano, per far sì che l’esperienza cristiana diventi
accattivante, gradevole? Perché quella che è stata la nostra esperienza non
può essere meramente replicata e bisogna inventarsi un nuovo metodo di
educazione e di evangelizzazione?
Il punto è proprio questo: ciò che noi abbiamo vissuto non è più
replicabile, perché la società è cambiata e continuerà a cambiare con una
velocità mai vista prima. Effetto della comunicazione capillare e della
globalizzazione. Se a noi bastava il gruppo dell’oratorio oggi non è più
così, perché i ragazzi “impegnati” rischiano di essere degli alieni nel
mondo esterno, ad esempio nella scuola. Le sollecitazioni anticristiane e la
massificazione fanno sì che molti si perdano, per “non rimanere soli” o
fuori dal branco. Questo a meno di far vivere i figli in una campana di
vetro che li custodisca, ma che non li prepara alla vita. A questo si
aggiunge il fatto che la coppia stessa, l’istituzione del matrimonio, è
sotto il pesante attacco della società moderna. E’ sempre più diffusa
l’opinione che il matrimonio sia un’istituzione anacronistica, il concetto
di “tuo/tua per sempre” sembra superato, meglio non impegnarsi
troppo, meglio cedere alle prime difficoltà.
Oggi è allora necessario pensare ad un nuovo modello educativo, e noi
crediamo che questo modello sia quello che vede la famiglia unita
nell’attività parrocchiale – oratoriana,
pur mantenendo le sue specificità e peculiarità di età. La famiglia non più
fatta a fette. Siamo consci che si tratta di una rivoluzione copernicana,
che potenzialmente impatta tutte le attività, i sussidi, il modo di pensare
delle nostre parrocchie, ma noi ci proviamo, proviamo a proporre alcuni
punti fondamentali che speriamo vengano presi in considerazione, almeno come
suggestioni per la riflessione, nelle nostre parrocchie e oratori.
Bisogna quindi delineare un percorso educativo e formativo per la famiglia
nel suo insieme, che sia seguito e promosso da tutte le forze in campo, con
quella che chiamiamo con un parolone “strategia pastorale”.
Con ciò non vogliamo negare che esistano altre esperienze, anche nelle
parrocchie di appartenenza dei membri dell’Associazione, ugualmente
positive, come lo scoutismo, l’associazionismo missionario, ecc. Tali
esperienze hanno già un loro progetto educativo-formativo sisematico,
progetto che, a nostro giudizio, manca per la pastorale ordinaria, per chi
segue un cammino meramente parrocchiale, un cammino più “ordinario” e forse
meno istituzionalizzato.
Così ci siamo avventurati nel redigere questo documento, senza essere dei
dotti del settore, ma forti della nostra esperienza, non solo educativa, ma
anche professionale, ed aperti ad accogliervi suggerimenti e miglioramenti
che potranno arricchirla. Con ciò non vogliamo ingabbiare in questo progetto
quelle realtà che lo vorranno considerare, perché crediamo che le specifiche
spiritualità possano incarnarvisi e farlo crescere, come il lievito che
fermenta la pasta, come seme che muore nel terreno e si confonde con esso,
dando però origine ad un grande albero. In sostanza il progetto andrà
declinato tenendo conto delle indicazioni della diocesi e delle specifiche
spiritualità. La nostra avventura parte dalla considerazione che da più
parti si alzano i toni sulla emergenza educativa, ma facciamo fatica a
trovare proposte concrete sul merito di come affrontarla.
Il punto di partenza è il matrimonio: è sempre stato visto, ed anche noi
abbiamo rischiato di viverlo, come il punto di arrivo di un cammino di
formazione giovanile, mentre è solo un punto di partenza. Questo fa capire
che non si può più pensare di chiudere la porta di casa con il proprio
coniuge e limitarsi a vivere una vita cristiana fatta della sola Messa
domenicale. Come le chiese che si staccano dalla Madre Chiesa muoiono, così
la famiglia sola, si espone al rischio di morire cristianamente e, troppo
spesso, umanamente, a causa della propria solitudine.
Costruire una comunione di famiglie
Tra i primi impegni di una parrocchia deve esserci quindi quello di
promuovere l’associazionismo ed i gruppi parrocchiali. La nostra esperienza
dell’Associazione Il Vino di Cana è un tentativo di camminare in questo
senso: ma non è l’unico, il migliore, il modello, ecc.. Non ci soffermiamo
in questa fase su tale attività, perché non è l’oggetto del presente
documento, ma rinviamo al sito internet
www.ilvinodicana.it
per gli approfondimenti.
La promozione dell’associazionismo famigliare e dei momenti formativi per le
famiglie costituiscono la creazione dello scheletro portante delle nostre
comunità:
·
tale comunione delle famiglie deve essere aperta e accogliente, non basata
tanto sull’amicizia reciproca ma sul comune amore per Cristo;
·
gli ambienti dovrebbero essere pensati, per quanto possibile, adatti alle
esigenze
delle famiglie (esempio con angoli attrezzati per i più piccoli o
spazi per cenare assieme);
·
le comunione delle famiglie trova sbocchi naturali di servizio nel formare
al matrimonio
le coppie di fidanzati, nel seguire i neo-genitori che si
preparano al Battesimo, nel fare accoglienza
più in generale secondo le
proprie specificità e le esigenze proprie della parrocchia.
L’obiettivo di tutto ciò è costruire il terreno fertile per la crescita
cristiana dei nostri figli e la solidarietà reciproca. Le famiglie non sono
e non devono sentirsi isole solitarie, ma parte di un’unità ben più grande,
la Chiesa che anela al suo Sposo.
Una messa che unisca e non divida
La famiglia nasce e, spesso e per dono del cielo, si moltiplica. Ecco che i
bambini nascono e crescono , in età e numero. Noi vorremmo che crescessero
anche in grazia, ed, a tal fine, crediamo che sia favorevole far loro vivere
l’esperienza cristiana fin da infanti. Ecco allora l’importanza del recarsi
a Messa la domenica tutti insieme, anche se i piccoli fanno un po’ di
baccano: quanto è importante il vedere che l’Eucarestia è un impegno fisso
per tutti i membri della famiglia; e quanto è duro per i genitori il
desiderio, inesaudito, di riuscire a vivere “una Messa come si deve” e con
la profondità giusta. Ma questa testimonianza è importante.
La parrocchia deve dare modo alla famiglia di presentarsi unita
all’appuntamento domenicale con la mensa del Signore. A nostro parere tutti
i gruppi formativi (dal catechismo pre-sacramentale ai gruppi giovanili)
devono essere convocati alla medesima ora e nella medesima
chiesa/cripta/cappella in modo che i genitori possano unirsi a loro. Non
parliamo ovviamente della vicinanza fisica sulle panche, ma del luogo e
dell’orario della celebrazione. Sappiamo che sarà una messa caotica, che ci
sarà il baccano dei più piccoli, ed un’omelia probabilmente semplice e
breve. Vorrà dire che sarà compensata da “cembali e canzoni” (“lodatelo
con timpani e danze,/lodatelo sulle corde e sui flauti. Lodatelo con cembali
sonori,/lodatelo con cembali squillanti”, Sal 150); vorrà dire che
avremo pazienza con i piccoli, ma che non rinunceremo al fatto di mangiare
alla stessa Mensa.
Una catechesi per tutta la famiglia
Benedetto XVI ha definito, senza mezzi termini, “disastrose” le esperienze
di catechesi degli ultimi 40 anni,
ovvero dall’esperienza conciliare in poi. Questo ha scritto non certo per
contestare il Concilio Vaticano II, ma solo da osservatore attento ed onesto
di quella che è la realtà dei fatti.
Noi non abbiamo la soluzione, ma riteniamo che ai percorsi tradizionali di
catechismo si possa affiancare un nuovo percorso alternativo ed innovativo
che vede genitori e figli impegnati nell’attività di catechesi. “Oltre che
per il Battesimo e la Cresima, sono catechisti, in forza del sacramento del
Matrimonio, i genitori, i quali in quella che si potrebbe chiamare chiesa
domestica, devono essere per i loro figli i primi maestri di fede(
Rinnovamento della Catechesi
195).
La conoscenza della fede non rimanga qualcosa che i bambini vivono per conto
loro, ma sia pane condiviso con chi li ha generati alla vita e sa che,
attraverso Cristo, sono destinati alla vita eterna. Questo tipo di approccio
richiederà forse un diverso modo di utilizzare i sussidi e nuove formule
tutte da inventare e sperimentare, ma pensiamo ne valga la pena. I
Sacramenti non devono essere visti come un punto di arrivo, ma una rampa di
lancio verso una formazione più profonda e personale del fatto cristiano. In
questo riteniamo utile una riflessione sull’ordine con cui i Sacramenti
vengono impartiti, chiedendoci e chiedendo a chi legge se non sia meglio
tornare all’antico, al fatto cioè di anticipare la Cresima (vista purtroppo
come la fine del percorso catechistico e della crescita di Fede) rispetto
alla Comunione. Questo farebbe diventare la Comunione l’inizio di un
percorso da continuare nella quotidianità domenicale, dopo la Confermazione
nella fede della Cresima.
Quando poi i ragazzi crescono e la presenza dei genitori può diventare o
essere percepita come ingombrante come proseguire? Certamente con la Messa
comunitaria, a cui potrebbe affiancarsi qualche esperienza forte che unisca
tutta la comunità in crescita, figli di ogni età e genitori, come un campo o
una esperienza annuale di ritiro di tutta la comunità.
Chiediamo allo Spirito di darci la fantasia e la creatività necessaria a
perseguire un tale progetto. Certamente noi genitori aneliamo alla crescita
cristiana dei figli, e vorremmo vederli pronti nel rispondere alla loro
vocazione particolare e realizzati nell’adempierla.
L’esperienza di associazionismo famigliare fa sì che i momenti formativi e
di condivisione dei genitori, diventino occasione di crescita per i bambini
e per i ragazzi dell’oratorio. Per i bambini, perché cominciano ad
incontrarsi ed a vedere che ci sono altri che fanno le loro stesse
esperienze, per i ragazzi perché trovano nel servizio ai figli di queste
famiglie un’occasione di dono di sé stessi agli altri. L’oratorio e la
parrocchia cominciano ad essere una cosa sola, una sinergia ed un
virtuosismo che conduce all’unità.
Dobbiamo anelare all’unità, perché dice Gesù “siano anch’essi in noi una
cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). Questa è
una prima testimonianza educativa alla quale tendere.
L’esperienza dei gruppi adolescenziali- Il gruppo medie
La vita del ragazzo/a deve proseguire con i gruppi formativi, ognuno dotati
della sua specificità di obiettivi e progetti educativi, nell’ambito del
metodo di animazione. Significa “abilitare il giovane a costruire sé stesso
all’interno dell’avventura di senso che, dall’origine dell’uomo, percorre
senza sosta il mondo”.
Obiettivo di ogni progetto formativo-educativo è sempre quello di aiutare
una persona a costruirsi, e questo deve essere vero anche per il gruppo
medie. La persona si deve costruire nelle dimensioni:
·
Spirituale
·
Volitiva
·
Razionale
·
Istintiva
·
Emotiva
·
Affettiva
·
Sociale
·
Fisica
Tutto ciò attraverso:
1. la
costruzione dell’identità personale
2. la
partecipazione alla vita sociale
a. abilitare
il ragazzo ad unire morale individuale e sociale
b. abilitare
il ragazzo/a ad elaborare l’antidoto contro il potere del conformismo
c. abilitare
il ragazzo/a a valutare la moralità degli strumenti
d. abilitare
il ragazzo a giocare per riscoprire la vita
3.
l’abilitazione del ragazzo/a alla liberazione della trascendenza,
attraverso:
a.
l’abilitazione a vivere la festa (la domenica ad esempio) come centro
esistenziale
b. la
riscoperta del racconto per dire il senso profondo della vita (il Vangelo)
c.
l’abilitazione a ricostruire elementi di discontinuità nello spazio-tempo
(esperienza del deserto per esempio)
d.
l’abilitazione a concepire la trascendenza come la realtà ultima ed
unificante dell’esperienza umana
e.
l’abilitazione a vivere il contrasto fra desiderio e limite
Tutti i gruppi devono far vivere l’esperienza del gruppo senza dimenticare
le cosiddette piste di progressione personali, che sono quelle in grado di
far crescere veramente la ragazza ed il ragazzo.
Il gruppo medie deve a nostro giudizio essere articolato al fine di
perseguire
tre tappe fondamentali di crescita del ragazzo/a:
·
“Io e il gruppo” (la promessa di scegliere la vita del gruppo
oratoriano, promessa
fatta al gruppo con la partecipazione della propria
famiglia)
·
“Io con il gruppo”: la dimensione dell’amicizia
·
“Io per il gruppo”: la dimensione del dono
Anche per un ragazzo delle medie è importante riferirsi al piano di Dio su
di esso. Il bambino vive soprattutto nella sfera istintiva-emotiva, mentre
il ragazzo, crescendo, entra nella sfera razionale, quella della ragione.
Gli animatori devono aiutare il ragazzo in questo passaggio, con tutte le
attività che possono facilitarlo. Il ragazzo deve entrare nella sfera dei
valori.
Molta importanza deve essere data all’esperienza religiosa, anche attraverso
la sottolineatura di alcune figure modello.
Obiettivo di fede è il senso dell’alleanza, chiamiamola amicizia, tra Dio e
l’uomo.
La conoscenza di Dio avverrà:
·
Attraverso la natura
·
Sotto il profilo dell’amicizia: l’amicizia con gli altri è una delle opere
dell’amicizia di Dio e con Dio.
Obiettivo di fede è proprio il senso
dell’alleanza, chiamiamola amicizia, tra Dio e l’uomo.
·
Far conoscere la figura di Gesù Cristo
·
Il senso della “legge” del gruppo, che il gruppo si deve dare, in rapporto
alle proposte di vita del Cristo
·
Esperienza di fede attraverso i momenti liturgici dell’anno, nell’ottica
della pedagogia dei segni,
mparando ad entrare in rapporto con Dio
attraverso: Liturgia, preghiera, amici e famiglia
·
Sacramenti dell’Eucarestia e della Riconciliazione
·
Figure di santi come modelli di fede e di vita, intesi come esperienze
religiose.
L’esperienza dei gruppi adolescenziali- Il biennio delle superiori
Il biennio delle superiori ha come obiettivo formativo ultimo la scelta
dei ragazzi di fare “la promessa di fede a Dio”, fatta pubblicamente, a
fianco della propria famiglia e davanti alla comunità tutta.
L’impostazione base del progetto educativo-formativo deve essere quella di
mettere in parallelo la figura dell’uomo e la figura di Cristo.
·
L’uomo con sé stesso: conoscenza della persona e delle sue qualità, il
proprio carattere
·
L’uomo con gli altri: il rapporto con la famiglia, la scuola (professori e
compagni), la vita nel sociale
Il vero problema in questa fase di età sul quale lavorare è la capacità di
aggregazione: io e l’altro, l’apertura ad altri gruppi di coetanei. Si deve
puntare sull’affinare le capacità di testimonianza all’esterno dell’ambiente
oratorio-parrocchia. Allo stesso tempo si deve portare il ragazzo a
riflettere su povertà, essenzialità e consumismo.
Nella formazione religiosa è opportuno riflettere sull’aspetto storico e
trascendente del Cristo. Che senso ha per il ragazzo/a seguirlo? L’impegno
personale dei ragazzi è Cristo nell’Eucarestia e Cristo nella preghiera. La
promessa di fede è la fine di un percorso formativo che parte dall’analisi
della fede, per arrivare a saperne dare una ragione: solo così si può
promettere, solo conoscendo Gesù nel profondo. Solo conoscendo anche il
mistero del male e del peccato ed il valore della Riconciliazione.
L’esperienza dei gruppi adolescenziali- Il gruppo triennio delle superiori
Dai 16 ai 18 anni si nota un declino della velocità della crescita. Si fa un
uso più ragionato del tempo. Si comincia a pensare ad un progetto di futuro.
Nell’attività di gruppo si cercherà di
Scavare la persona
1. Maturità
affettiva: imparare ad amare disinteressatamente; evitare l’esclusivismo
delle amicizie; imparare ad amare ed il senso della sessualità
2.
Equilibrio con familiari e fratelli
3. Dominio
e conoscenza di sé, con accettazione dei propri limiti
4. Capacità
critica: formazione di un quadro di riferimento e capacità di valutazione
5.
Esperienze di vita
Sviluppo sociale: rapporto con situazioni, cose, persone esterne
1. Rapporto
con gli altri: accoglienza, capacità di dialogo, rispetto
2. Rapporto
con le cose: ambiente di lavoro, giustizia, educazione alla essenzialità
3. Valore
della pace
4.
Conoscenza dei valori che interpellano la nostra persona: valori sociali ed
ecclesiali; conoscenza delle attività sociali e dei carismi ecclesiali
5. Contatto
con persone ed organizzazioni
Fede: popolo cristiano come famiglia di Dio
1.
Significato, compiti ed organizzazioni della Chiesa
2. Progetto
di vita cristiana: la vita come dono da costruire
3.
L’opzione del dono, cioè la scoperta della propria vocazione, come
conseguenza dell’opzione fondamentale
Il triennio delle superiori deve preparare i ragazzi a:
1.
Scelta di servizio ecclesiale: in quale ambito spendere le proprie
energie
giovanili del dono di sè
2.
Scelta vocazionale: religiosa o matrimoniale
Il triennio è la fase di maturazione della fede, di approccio ad una
conoscenza più sistematica e, se vogliamo teologica, del Vangelo e delle sue
verità, di risposte ai tanti perché della vita, di passaggio ad una fede
adulta. È importante che, durante il triennio, i ragazzi non vengano
bruciati in attività, anche se dovute alla mancanza di altri volontari, ma
che facciano esperienze di servizio, le più diverse, per capire le proprie
attitudini, per saper tenere duro anche di fronte ad impegni non proprio
gradevoli. Solo alla fine del cammino del triennio i ragazzi sceglieranno
liberamente in quale ambito di servizio buttarsi: animazione, catechesi,
carità, missione, ecc.. Inoltre occorre saper dare il giusto valore alle
esperienze di servizio. Ci ha insegnato D. Giuseppe Boldetti, vecchio
parroco del Sacro Cuore, che il servizio che facciamo da ragazzi deve essere
solo un allenamento per il servizio da vivere nella propria vocazione
matrimoniale o di speciale consacrazione; da ragazzi il servizio troppo
spesso è bello e remunerativo: il tener duro in condizioni difficili, aiuta
a saper mantenere fede agli impegni in tutte quelle situazioni che si
incontrerà nella propria vita adulta.
La fase del triennio è delicata inoltre, perché gli animatori oratoriani
devo vincere la tentazione di far crescere i ragazzi loro affidati a propria
immagine e somiglianza, ma devono invece promuovere le loro attitudini, che
sono talenti del Signore da coltivare e da far fruttare.
L’Associazionismo famigliare
E in tutto questo il resto della famiglia, in particolare i genitori dove
rimangono? Se non ci sono, stiamo continuando a fare a fette la famiglia e
non abbiamo cambiato niente. I genitori proseguono il loro cammino formativo
nel proprio gruppo o associazione, si portano dietro i ragazzi finché
possono e poi? Un primo impegno dei genitori, siano essi riuniti in
Associazione o in gruppi più spontanei deve rimanere l’accoglienza:
accoglienza delle nuove famiglie, accoglienza di quelle più timorose e
distanti, un occhio aperto con discrezione su tutte le realtà di disagio,
indifferenza, diffidenza. Le famiglie devono accogliere altre famiglie ed i
ragazzi che non hanno famiglia.
Unitamente a ciò, crediamo che due momenti non debbano mai mancare in un
progetto di oratorio – parrocchia per l’inizio del terzo millennio, come già
anticipato precedentemente.
1.
L’Eucarestia domenicale vissuta dalla famiglia nel suo insieme: anche in
panche diverse, ma nella stessa chiesa e nella stessa ora, e per chiesa
intendo la chiesa fisica (salvo eccezioni ovviamente dovute ad impegni
diversi)
2. Il campo
estivo o una esperienza di ritiro plurigiornaliero, vissuto da tutte le
componenti in un unico luogo ed in un’unica data, ognuno con le proprie
attività e la propria specificità, ma tutti insieme; in particolare insieme
saranno
a.
L’Eucarestia quotidiana
b. I giochi
liberi
c. Le gite
Quale testimonianza migliore di questa: il vivere l’unità, vivere il Vangelo
dell’unità, anche a livello esperienziale e non solo spirituale. È chiaro
che ciò comporta difficoltà, logistiche, economiche, ecc., ma quale grande
risultato dalla testimonianza che “anche i miei amici vivono la fede, la
vita di oratorio”, che non siamo alieni, ma altri condividono il nostro
cammino, altri hanno le nostre stesse titubanze, altri litigano con i
genitori come noi, ma si vogliono bene ugualmente, altri sono disposti a
condividere la vita, il pane, lo stipendio…
Questo, per noi, vale più della ipotetica perdita di libertà che i figli
possono lamentare per la ingombrante presenza dei genitori al campo (che è
bene rispettino l’autorevolezza degli animatori), è di esempio per i figli
di famiglie divise, perché il bene non va nascosto e non mette mai in
difficoltà se sappiamo vivere l’accoglienza, se sappiamo vivere un campo
dove siamo comunità e ci occupiamo gli uni dei figli degli altri, o dei
figli soli.
E per i nonni?
E poi quando i figli sono grandi? Ecco che il cerchio si chiude: coloro che
sono stati animatori dei miei figli, diventeranno mamme e papà, ed avranno
bisogno di baby sitter, per le loro attività. Noi saremo comunità, anche se
stanchi ed affaticati, e vivremo la nostra pensione al servizio dei
fratelli, anche di quelli più giovani. Saremo ancora una volta testimoni di
unità perché il mondo creda, perché riusciamo a vivere l’esperienza dei
primi cristiani, i quali non facevano nulla di diverso dai pagani, se non lo
spezzare il pane insieme, sia quello eucaristico che quello della vita, ed
il volersi bene.
I nonni dovrebbero poi continuare il proprio percorso spirituale e
comunitario, per vivere la dimensione della “pensione” e della “vecchiaia”
come gioia e dono agli altri, come ricchezza per la società, e come
testimonianza nella sofferenza che prima o poi, verrà. Lo diciamo: sarebbe
bello che anche i nonni partecipassero al campo parrocchiale, portando così
il proprio contributo alla dimensione comunitaria della vita della
parrocchia: è stata la testimonianza di Gismo e Liliana, che, nonostante gli
ottant’anni compiuti, per anni ci hanno seguito con la propria presenza
semplice e discreta ad insegnarcelo.
E chi non si sposa?
Questi fratelli devono essere nostri amici e parte viva della comunità: la
nostra amicizia li farà sentire importanti ed al tempo stesso il loro
servizio sarà importante per i ragazzi e gli adulti della parrocchia.
Sarebbe bello che anch’essi partecipassero ai momenti formativi e vivessero
la loro “famiglia” con le altre, senza paura di essere di troppo.
La Comunità Animatori-Educatori
Collante di tutta l’attività educativa dell’oratorio parrocchia è la
comunità degli animatori – educatori, che funge da coordinamento e raccoglie
ad unità le singole iniziative educative. Riteniamo bene che la
responsabilità di tale comunità sia affidata ad un laico, ragazzo o adulto,
che tale responsabilità ruoti al fine di coinvolgere tutte le realtà
impegnate. La responsabilità ad uno o più laici garantisce una maggiore
continuità al lavoro pastorale, visto il forte turn-over dei sacerdoti. Non
per questo va intesa come superiore all’autorità del sacerdote stesso, il
quale ovviamente è pastore dell’oratorio-parrocchia e ne è la guida.
Scopo principale della Comunità degli Educatori – Animatori, alla quale è
bene che partecipino anche membri delle Associazioni famigliari, è quello di
condividere le linee guida pastorali, di studiare ed attualizzare i progetti
educativi per i ragazzi, di far sentire ai giovani che è l’intera comunità
ad educare, a farsi carico del “problema educativo”, ad amare la loro
gioventù, a desiderare per loro un futuro cristiano.
Nella Comunità Animatori possiamo distinguere:
1. Ruoli
istituzionali
a.
Responsabili di comunità animatori che ne hanno anche la rappresentanza
esterna
b. Sacerdote
2.
Obiettivi e compiti della Comunità Animatori
a.
Definizione ed applicazione dei progetti educativi
b. Gestione
delle attività formative
c.
Organizzazione delle attività comuni, come le feste
d. Attività
formativa degli animatori-educatori
e. Crescita
comunitaria nella preghiera
f.
Attenzione a tutti gli “esterni”
3. Stile di
vita della Comunità Animatori
a. Stima e
rispetto reciproco
b.
Responsabilità educativa
c. Coscienza
di lavorare in comunione e per la comunione della Chiesa locale e universale
d. Preghiera
e. Comunità
aperta
Rinnovare le promesse matrimoniali
Sappiamo benissimo che le promesse matrimoniali valgono “per tutti i
giorni della nostra vita”, ma sappiamo per esperienza che è bello
ricordarcelo, guardarci negli occhi, darci la mano destra, e ripetercelo.
Crediamo che faccia bene a noi ma faccia bene anche ai nostri figli, per
sapere di essere affettivamente al sicuro ed abituarsi a non temere il “per
sempre”. Suggeriamo di valorizzare un momento, magari una “domenica della
famiglia” in cui annualmente tutti gli sposi della parrocchia sono invitati?
a ripromettersi fedeltà e amore per la vita, ripetendosi le parole
pronunciate all’inizio del loro cammino coniugale.
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